L’allucinazione nell’opera di Freud

“Guardi la Vostra misericordia”, replicò Sancho, “che quelli che appaiono lì non sono giganti, ma mulini a vento.” Miguel de Cervantes

Introduzione

   Interrogare la struttura dell’allucinazione in Freud e la sua entità come espressione dell’apparato psichico è la proposta del presente lavoro nel tentativo di approfondire un sapere che si ripete, il più delle volte, in modo didascalico. Per delucidare detta nozione come l’ha concepita Freud risulta ineludibile collegarla ad alcuni concetti e momenti della sua opera. L’intenzione della ricerca, senza pretesa di esaustività, è sondare le origini delle successive elaborazioni psicoanalitiche.    Se prendiamo la prima citazione di Lacan sull’allucinazione presente nel primo Seminario, Gli Scritti tecnici di Freud, egli rinvia alla storia di Lucy R., vale a dire, non introduce la questione come un  tratto patognomonico delle psicosi. Dice: “Questa donna ha sofferto ciò che possono chiamarsi allucinazioni olfattive, sintomi isterici la cui significazione, luoghi e date vengono rilevati in modo soddisfacente” (1995, Seminario 1:39). Da qui, la domanda: che cos’è un’allucinazione? E in particolare, cos’è l’allucinazione per Freud?   Indubbiamente è consensuale l’esistenza di proposizioni freudiane sufficientemente robuste da subire i cambiamenti dello spazio discorsivo. Nel caso dell’allucinazione la questione risulta per lo meno, ostica. Per Freud la nozione di allucinazione mantiene una certa autonomia rispetto alla definizione classica conferita dall’ambiente psichiatrico. A questo proposito, Henri Ey afferma che la concettualizzazione freudiana dell’allucinazione è più vicina all’idea d’illusione, poiché proietta in maggiore o minore misura la dinamica affettiva del soggetto (Ey, 1995: 461), mentre la definizione psichiatrica la descrive come una percezione in assenza di stimolo esterno; una visione cosciente di oggetti assenti nella realtà. In ogni caso, il seguito dell’evoluzione clinico-dinamica del concetto fino alla sua attuale argomentazione tiene conto del momento pre-paradigmatico, primordiale della psicoanalisi. L’idea quindi è di osservare le sue vicissitudini secondo le diverse fasi della ricerca freudiana.

L’allucinazione nei primi scritti

      Il materiale da cui inizia il presente lavoro corrisponde alle pubblicazioni pre-psicoanalitiche che vanno dal 1886 al 1899. In detto periodo il termine è presente in quattro articoli inaugurali: Isteria (1888), Manoscritto H. (1895) , Manoscritto K. (1896) e nel Progetto di una psicologia per neurologi (1896).     Nel testo Isteria le visioni di ratti, topi, serpenti, così come allucinazioni uditive sono incluse nei postumi del grande attacco isterico che, insieme ad altri sintomi tipici, compongono il quadro dell’isteroepilessia. Per ora questa nevrosi è definita come il prodotto di un’anomalia del sistema nervoso causata da un eccesso di stimolo nell’apparato animico. Nel Manoscritto H, Freud considera la confusione allucinatoria, la paranoia, l’isteria e la nevrosi ossessiva, tutte determinate dalla natura patologica della difesa. Nella confusione allucinatoria, la rappresentazione inconciliabile nella sua totalità con il suo affetto e contenuto viene separata dall’Io a spese di un abbandono parziale del mondo esterno. Nel Manoscritto K, Freud approfondisce la spiegazione sottolineando che l’allucinazione e le sue molteplici forme sono il risultato dell’espulsione di una determinata esperienza dell’Io. Il meccanismo allontana contenuto e affetto insieme. Di conseguenza, i frammenti di ricordo ritornano sfigurati e sostituiti da immagini analoghe a quelle precedenti. Ciò che non coincide, afferma Freud nella sua lettera a Fliess, è la delucidazione della repressione che fino ad ora era considerata una sorta di meccanismo di difesa universale altrettanto valido sia nevrosi che in psicosi. Nel Progetto, l’intenzione di Freud è quella di trovare una psicologia delle scienze naturali, cioè, “presentare i processi psichici come stati quantitativamente comandati di parti materiali verificabili” (1998, vol. I: 339). Quindi introduce una sorta di economia dell’energia nervosa (Qƞ) e il principio di inerzia neuronale in cui i neuroni cercano di liberarsi di una quantità di energia attraverso scariche motorie. Se lo stimolo è interno, la cancellazione della tensione psichica è possibile soltanto attraverso un intervento che la elimini dall’interno del corpo. Nella teoria quantitativa risulta sostanziale l’idea di esperienza di soddisfazione, con la produzione di un gruppo neuronale investito principalmente d’energia psichica che promuove una facilitazione somatica in grado di trasmettere lo stimolo.      In questo ordine di cose, le allucinazioni sono il prodotto di immagini-ricordo riattivate dal desiderio dove affetti e stati del desiderio producono un innalzamento della tensione. L’Io, composto da una totalità di investiture permanenti rispetto alle variabili e capace di inibire i processi psichici primari, si trova inerme in due casi:
  1. Con le rappresentazioni oniriche, che sono di natura allucinatoria e in cui il processo primario ottiene la sua scarica.
  2. Quando lo stato del desiderio investe un oggetto-ricordo dove la soddisfazione per forza mancherà. Il processo primario porta tali investiture di desiderio fino alla allucinazione.

L’allucinazione nelle prime storie cliniche

    Negli anni che vanno dal 1893 al 1895 ci fu un grande sviluppo teorico basato su alcune storie cliniche che servirono da archetipo a elucubrazioni future. A quel tempo iniziò ad essere utilizzato il metodo catartico e i suoi contributi furono aggiunti all’impalcatura della psicoanalisi. I casi freudiani, alcuni scritti insieme a J. Breuer, furono decisivi nell’etiologia delle nevrosi, in particolare quelli dell’isteria. Tra le diverse speculazioni si trovano intrecciate concettualizzazioni rudimentali del meccanismo dell’allucinazione proprio come si presenterebbe nelle psicosi, e altre che si avvicinano più alla delineazione di fenomeni di tipo nevrotico. In questo periodo Freud situa comunemente l’allucinazione nella serie di sintomi isterici presenti in quasi tutti i casi descritti: Anna O., Emmy Von N, Miss Lucy R., Katharina, Cäcilie M.    Viene quindi individualizzata l’allucinazione della “sindrome isterica” ​​legata all’esperienza traumatica del paziente. Le allucinazioni dei casi di nevrosi qui riferiti osservano alcune caratteristiche: sorgono in stati crepuscolari del soggetto o per scissione della coscienza; possono coinvolgere sensi diversi, ma soprattutto conservano un forte e chiaro nesso causale con l’evento traumatico. D’altra parte, Freud si serve del termine allucinazione quando fa riferimento alla chiarezza delle immagini riprodotte dai malati sotto gli effetti dell’ipnosi. Questa vivacità o nitidezza allucinatoria corrisponde ad eventi che conservano la loro intensità sensoriale e affettiva persino se avessero anni di antichità. Per Freud, l’impossibilità di un’efficace abreazione dell’affetto è la causa della dissociazione della coscienza. L’allucinazione concerne quindi gli stati ipnoidi dai quali il soggetto si trova alienato. I prodotti di questi stati penetrano nella veglia come fenomeni isterici (1996, vol. II: 39). In questo modo il doppio stato di coscienza di Anna O. (21) si manifestava in un’alternanza tra quello in cui si sentiva triste e angosciata e l’altro delle assenze allucinatorie dove insultava, lanciava oggetti, vedeva scheletri, figure terrificanti o percepiva i suoi capelli come serpenti neri (Ibidem: 50-52). Freud chiamò questa produzione di immagini “accumulo di fantasmi” che riusciva ad attenuarsi grazie alla Talking Cure. Ulteriormente, il secondo stato di coscienza è stato delineato come la riedizione del passato della paziente sotto forma di ricordi. Nel caso di Emmy von N. (40) la paura degli insetti e dei topi, oltre agli ordini emessi dalla paziente sono interpretati da Freud come il prodotto di allucinazioni ricorrenti. In una visione più ampia del caso potrebbero leggersi come l’espressione della produzione fantasmatica del soggetto. D’altra parte, si pensa che la testa intravista sul separé e la persona seduta sul letto fossero state immagini visive confuse con allucinazioni causate dalla mancanza di nitidezza, frutto dell’alto grado di miopia di Emmy. In più questa paziente sembra essere d’accordo con le riflessioni del suo medico in un atto di obbedienza, senza coincidere realmente con le sue affermazioni. Nel caso di Lucy R. (30) Freud considerava le allucinazioni olfattive subite dalla paziente come l’equivalente dell’attacco isterico. Questa “sensazione olfattiva soggettiva” (Ibidem: 124) è legata, anche in questo caso, alle reminiscenze della paziente.    In Katharina (18) e Cäcilie M., nuovamente ricordo e immagine mentale si associano all’idea d’allucinazione dove “affioramenti allucinatori” rinviano al passato delle malate. Rispetto al secondo caso, Freud parla puntualmente delle allucinazioni del dolore tipiche delle algie isteriche riconducibili a momenti dolorosi. In questo modo attraverso l’allucinazione si introduce la nozione di “simbolizzazione” (Ibidem: 191). In sintesi, alcuni stati di alterazione psichica profonda producono espressioni simboliche che si traducono in immagini sensoriali e sensazioni, senza abbandonare la costruzione linguistica. Si delinea la significazione del sintomo localizzato nel corpo come metafora. Per quanto riguarda l’allucinazione, Breuer concorda con le speculazioni freudiane. Per entrambi le allucinazioni sono condizionate da rappresentazioni di indole traumatica. Allo stesso modo, Breuer segnala la differenza tra le immagini ricevute dall’apparato percettivo da quelle mnemoniche in cui opera la memoria. Considera impossibile che lo stesso organo svolga due funzioni così contraddittorie, tranne che nei casi patologici. Vale a dire, se è l’immagine mnemica a stimolare l’organo della percezione, si presuppone un’eccitabilità che va contro il normale funzionamento, corrispondente alla percezione del mondo esterno, il che porta all’allucinazione (Ibidem, nota: 200). Per quanto riguarda le allucinazioni del dolore così comuni nell’isteria, si presume anche in esse un’eccitabilità anomala dell’apparato di ricezione del dolore. Successivamente, nel caso Dora (18) pubblicato nel 1905, che è probabilmente il più rappresentativo dell’isteria, Freud analizza un’allucinazione cinestetica vissuta dalla paziente come pressione sul petto. Essa simbolizza, spostata, la pressione del membro eretto di Sig.re  K. contro il suo ventre che sentì in un abbraccio con lui. Un trasferimento dalla parte inferiore del proprio corpo ad una più innocente ha permesso di metaforizzare la rappresentazione rimossa (Freud, 1893, vol. VII: 28).

L’allucinazione nell’isteria e nella paranoia. Meccanismi di difesa

    Nel periodo considerato delle prime pubblicazioni psicoanalitiche (1886-1899), nuovi elementi della ricerca freudiana conducono verso la delucidazione della nevrosi isterica e della paranoia. Gli effetti arrecano una maggiore differenziazione delle diverse manifestazioni dell’apparato psichico, compresa l’allucinazione. Viene quindi articolata una formalizzazione più precisa dei meccanismi di difesa, un cambio di paradigma per quanto riguarda il trauma e il riconoscimento della presenza o assenza di elementi del discorso nelle produzioni sintomatiche. In sintesi, Freud distingue due meccanismi possibili dell’allucinazione e stabilisce la parola del soggetto come ponte linguistico nel caso del sintomo isterico, o come ritorno dall’esterno sotto forma di rimproveri, nella paranoia.    Nel testo Sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici (1895) Freud comincia dai progressi fatti da Charcot riguardo il discernimento dell’isteria e dalle leggi che stabilisce sulla paralisi, per osservare gli effetti della suggestione verbale su di esse (1994, volume III: 29). Verifica che le derivazioni siano le stesse, sia che si tratti di un trauma reale o di un prodotto della suggestione verbale. In questo modo postula che il nucleo traumatico è esperienziale e non reale. Riconosce l’esistenza di un ponte linguistico tra l’affetto traumatico e l’innervazione del corpo come una costante che si verifica nei casi di isteria (Ibidem: 35). Le esperienze tinte d’affetto costituiscono quel nucleo, senza necessità dell’esistenza di un trauma reale. Il caso di Anna O., considerato da Freud come paradigmatico, lo porta a trarre conclusioni che riescono ad estendersi al resto degli isterici. I sintomi presenteranno diversi gradi di articolazione soggettiva. Quindi, per quanto riguarda l’allucinazione, distingue:
  • L’allucinazione della sindrome isterica, eredità del grande attacco istericoepilettico Charcotiano.
  Anna O., ad esempio, percepisce una figura terrificante mentre si prende cura del padre malato, in uno stato tra sonno e veglia. L’esperienza impregnata d’affetto che ha dato origine alla produzione dell’immagine allucinatoria, sarà quindi inclusa posteriormente nella trama simbolica che innerverà una parte significativa del suo corpo suscitando una paralisi isterica.  
  • La confusione allucinatoria, già proposta nei Manoscritti H e K, e nel Progetto.
     La spiegazione di questo tipo di allucinazione nella paranoia trova fondamento nella modalità difensiva, molto più energica ed efficace che nell’isteria. Il soggetto rifiuta l’affetto insieme alla rappresentazione inconciliabile e si comporta come se non fossero mai esistiti. Il caso che è servito a esemplificare tale meccanismo è stato quello della signora P. (32). Un caso di paranoia cronica con “immagini martirizzanti” essenzialmente di genitali femminili, seguite da interpretazioni deliranti (Ibidem: 176-77). Sebbene la teoria quantitativa si mantiene, Freud prende le distanze dalla ricerca di una psicologia delle scienze naturali. Le parole ascoltate nelle allucinazioni uditive, generalmente minacciose o di rimprovero, sono sentite dal soggetto come qualcosa che non gli appartiene. La recriminazione verso se stessi, frequente in questi casi, è vissuta come sfiducia nei confronti degli altri basata sul meccanismo di proiezione, di radicamento psichico e non neuronale. Dodici anni dopo la tesi sul meccanismo di difesa operante nelle psicosi, Freud indaga il caso del Dr. Schreber, una paranoia che analizza attraverso la sua pubblicazione: Memorie di un malato di nervi (1911) in cui temi quali l’allucinazione e il delirio attraversano l’intera opera. I miraggi visivi, uditivi e cinestetici aumentano nella cosiddetta “seconda malattia”, quando Schreber viene ricoverato nella clinica del Dr. Flechsig. Nel delirio immagina che il suo corpo viene manipolato, rimanendo per ore in stupore allucinatorio. Le allucinazioni tormentate sono anche definite “di indescrivibile grandiosità”. Queste allucinazioni rappresentano per Freud un tentativo di ristabilire la libido sugli oggetti del mondo da parte del paziente (Freud, 1991, vol. XII: 63). A quel tempo, la concezione del meccanismo psichico delle psicosi è articolata alla teoria della libido, distinguendola da quella presentata nell’allucinazione isterica (Ibidem: 71).

Sogno e allucinazioni ipnagogiche

   Nel suo scritto L’interpretazione dei sogni (1900) Freud intende stabilire una differenziazione tra la produzione onirica e quella presente negli stati psicopatologici. Cerca di circoscrivere l’immagine del sogno a un certo tipo di produzione soggettiva. In questo modo, il concetto di allucinazione inizia ad allontanarsi da qualsiasi elaborazione immaginativa del soggetto. Analizza le differenze tra veglia e vita onirica e deduce che, a differenza del sogno, la prima si svolge prevalentemente in concetti articolati nella modalità discorsiva e non in immagini. Il sogno inizia molte volte con rappresentazioni involontarie prima di addormentarsi che la persona di solito sperimenta come qualcosa di estraneo, che ” le accade”. Si potrebbe dire, con Freud, che il sogno allucina, vale a dire, sostituisce i pensieri con immagini e talvolta condivide la straneità vissuta dal soggetto nell’allucinazione. In questo contesto esiste un fenomeno che ha catturato l’attenzione di Freud a causa dell’intima relazione con le immagini oniriche, le cosiddette allucinazioni ipnagogiche. Entrambe possiedono contenuti simili, i più comuni sono di tipo visivo o uditivo (determinate parole, nomi, ecc.) E “per farle sorgere, si richiede una certa passività d’animo e una diminuzione dello sforzo di attenzione” (1998, vol. IV: 57). Freud parla di un’eccitazione sensoriale interiore soggettiva e adopera la descrizione realizzata da Johannes Müller [1] che le rappresenta come “fenomeni visivi fantastici” (1826). Le Allucinazioni ipnagogiche, quindi:
Sono immagini molto vivide e mutevoli che nella fase di sonnolenza di solito appaiono a certe persone in modo interamente regolare e possono perdurare alcuni istanti, anche dopo l’apertura degli occhi (Freud, 1998, vol. IV).
     La parola ipnagogica esprime una situazione di transito tra veglia e sogno. Questo tipo di fenomeno, paragonabile a ciò che si verifica in certi stati patologici, sembra essere stato uno degli incentivi che hanno portato Freud a studiare a fondo la struttura e il funzionamento del sogno.

Analogie e differenze della allucinazione nel sogno e nelle psicosi

   Freud considera insufficienti le ricerche svolte fino a quel momento dai suoi contemporanei attorno alla delucidazione delle malattie mentali. Pensa che la concordanza tra alcuni tratti caratteristici del sogno e delle patologie mentali possono risultare estremamente utili a far luce sul funzionamento di alcune strutture psichiche, come le psicosi. Si propone quindi di provare a svelare “il segreto del sogno” (Freud, 1998, vol. V: 114). Anni dopo, ratifica questo pensiero nel suo articolo L’interesse per la psicoanalisi (1913), considerando il sogno come l’elemento fondamentale da dove interrogare le diverse patologie e rappresentazioni soggettive:
Il sogno è l’archetipo abituale di tutte le formazioni psicopatologiche. Chiunque capisca il sogno penetrerà anche il meccanismo psichico della nevrosi e della psicosi” (Freud, 1993, vol. XIII: 175-76).
     Il punto chiave da cui partire per l’elaborazione di una teoria psicologica del sogno e delle psicosi è un connotato presente in entrambi: l’adempimento del desiderio secondo una modalità rappresentazionale, già proposta da Griesinger [2] (Ibidem: 113). Vi sono, inoltre, altre caratteristiche condivise, una delle quali è il tempo come misura, che appare distorto sia nei sogni che nelle psicosi. Il sogno utilizza fondamentalmente il presente poiché è il tempo in cui il desiderio si verifica come compiuto (Ibidem: 528). D’altra parte, allucinazioni e sogni coincidono nei sensi preponderantemente coinvolti come la vista e l’udito e in misura minore l’olfatto e il gusto. La mutazione delle rappresentazioni in immagini sensibili è caratteristica dei sogni ma anche di allucinazioni, visioni e illusioni, e possono presentarsi sia in condizioni di salute che sotto forma di sintomi (Ibidem: 527-29). Dice:
Per quanto riguarda le allucinazioni dell’isteria, della paranoia e le visioni delle persone normali, posso dare questo chiarimento: di fatto corrispondono a regressioni, ovvero, sono pensieri trasformati in immagini e esperimentano detto cambiamento soltanto quei pensieri che mantengono un’intima relazione con i ricordi soffocati o che sono rimasti inconsci (Freud, 1993, vol. XIII: 538).
     Per ora la regressione è un altro tratto che rimane comune a qualsiasi tipo di allucinazione. Le connessioni tra le rappresentazioni del sogno e alcuni disturbi mentali portano Freud a tracciare le analogie sopra menzionate, ma anche a stabilire un punto di disgiunzione fornito dal meccanismo di formazione di ognuna. Nel caso del sogno, la repressione e il processo secondario sono i responsabili del meccanismo in cui una “pressione oscurante” è la causa della deformazione delle immagini (Freud, 1998, vol. IV: 77). Successivamente, le leggi dell’associazione come la condensazione e lo spostamento, consentiranno a posteriori l’analisi e l’interpretazione. Tuttavia, come già segnalato, i meccanismi della confusione allucinatoria sono caratterizzati da una difesa massiccia manifestata nel rifiuto della rappresentazione inconciliabile insieme al suo affetto e dall’assenza del processo secondario in grado di mediare le immagini che il soggetto percepisce come reali, al di fuori di lui.    In Complemento metapsicologico alla dottrina dei sogni (1915), Freud introduce un cambiamento rispetto alla regressione e segnala la differenza tra il meccanismo del sogno e quello della schizofrenia in modo incisivo. Nel sogno c’è una regressione topica che collega le rappresentazioni-cosa alle parole che furono investite libidinalmente, in uno stato di veglia. Il loro contenuto è stato lavorato come una fantasia di desiderio. Nella schizofrenia, la regressione relazionata al commercio tra le rappresentazioni- cosa e le parole è bloccato. Le parole sono elaborate dal processo primario stesso (Freud, 1992, vol. XIV: 227-29). Freud non è ancora riuscito a stabilire chiaramente una teoria in relazione al desiderio. Osserva alcuni stati patologici come l’amentia di Meynert e la fase allucinatoria della schizofrenia in cui la fantasia di desiderio si manifesta in qualche modo. Nelle psicosi allucinatorie riconosce la presenza nella coscienza di desideri del soggetto rappresentati come compiuti (Ibidem).

Sogni e allucinazioni nei bambini

    In Conferenze d’introduzione alla psicoanalisi (1916) Freud dedica l’ottava lezione al sogno dei bambini. In essi si ripete senza troppa deformazione il loro contenuto tipico: un desiderio che attraverso un’esperienza allucinatoria appare come compiuto. Il sogno del bambino sarebbe la reazione a un’esperienza diurna che ha lasciato dietro di sè qualcosa di troncato. Generalmente, il desiderio come contenuto principale del sogno non è mascherato o lo è in misura minima. Si rappresenta anche consumato in tempo presente (Freud, 1993, vol. XV: 117-18). L’approccio di Freud all’allucinazione infantile è avvenuto tramite il discorso di un adulto, un giovane russo di 18 anni che giunse nel suo studio e portò avanti un trattamento analitico di quattro anni. Il caso pubblicato dopo altri quattro anni, fu chiamato Storia di una nevrosi infantile (1910-14 [1918]). Nelle parole di Strachey questo è forse il più elaborato di tutti i documenti freudiani. Ancora una volta il sogno e l’allucinazione consentono lo sviluppo di un concetto fondamentale. Attraverso il sogno dei lupi e l’allucinazione del dito reciso, Freud lavora sull’incidenza della scena primaria e del complesso di castrazione, punto nodale nella strutturazione dell’apparato psichico. Si svolgono elaborazioni cliniche fondamentali quali la Verneinung e la Verwerfung, che troveranno ulteriori chiarimenti in Lacan (Freud, 1990, vol. XVII: 57).

Allucinazione negativa e Verwerfung. L’impossibile da vedere

     Nel primo periodo delle sue ricerche, Freud indagò un altro tipo di fenomeno osservato nelle sedute di ipnosi a cui partecipava, condotte da Hippolyte Bernheim. Il nome datogli dal suo scopritore fu quello di “allucinazione negativa”. L’espressione designa la mancanza di percezione di un oggetto o persona presente nel campo del soggetto. Nella suggestione ipnotica li si  vieta di vedere all’ipnotizzato qualcosa che si trova nel suo campo visivo una volta sveglio (Freud, 1998, vol. I: 128). La descrizione psichiatrica dell’allucinazione negativa conferma l’esclusione di una parte della realtà dal sistema percettivo del soggetto, ma sottolinea anche altre due caratteristiche: da un lato, i soggetti non perdono la visione di ciò che circonda l’oggetto o la persona “negativizzata”; d’altra parte anche se la persona dichiara di non percepire ciò che è stato escluso, non si comporta come se la sua assenza fosse reale, ad esempio, non percepisce una persona ma la evita se passa a suo fianco. Ispirato da quanto sopra, Freud ha dato il nome di allucinazione negativa a un episodio avvenuto alla sua paziente Anna O., pochi giorni dopo la morte di suo padre. Lei ignorò categoricamente la presenza del dottore che fu convocato per una consultazione. Quest’ultimo cercò invano di farsi notare. Finalmente  è riuscito a infrangere detto stato soffiandole fumo sul viso:
All’improvviso vide uno sconosciuto, si precipitò verso la porta per rimuovere la chiave e cadde a terra svenuta; seguì un breve attacco di rabbia e poi di forte angoscia, che sono stato in grado di placare con grande lavoro (Freud, 1996, vol. II: 52).
     Alcuni anni dopo, in Psicopatologia della vita quotidiana (1901), nell’articolo Il lapsus nella scrittura e nella lettura, Freud si presenta a se stesso come oggetto di studio. Richiama l’attenzione su un punto in cui il senso della vista rifiuta di vedere un certo elemento da lui considerato significativo. Qualificò di allucinazione negativa l’esclusione della lettura di alcune frasi in un testo determinato. Dice: “E sono stato in grado di convincermi, con mio stupore, che nella mia precedente ricerca avevo letto ripetutamente questa stessa pagina, ma saltando sempre il paragrafo in questione come sotto l’imperio di una allucinazione negativa” (Freud, 1987, vol. VI: 111). La scotomizzazione del paragrafo si conclude quando viene rivelato il senso del carattere animico in gioco, ponendo fine al lapsus nella lettura. Aggiunge: “Era come se la diminuzione delle possibilità di mio fratello avessero rimosso un ostacolo” (Ibidem). Un nuovo episodio proposto da Freud nella serie delle allucinazioni negative di cui ne è protagonista è stato l’eliminazione della percezione di una coppia, sempre a causa di una trama psichica che riesce a decifrare seguendo i legami del discorso (Freud, 1987, vol VI: 254).      Negli esempi, le leggi che obbediscono a ciò che in un determinato momento risulta impossibile da vedere, seguono, a seconda si tratti di nevrosi o psicosi, percorsi divergenti. Freud riconosce una differenza fondamentale a proposito delle psicosi. Nel suo articolo Neuropsicosi di difesa, per la confusione allucinatoria, adotta il nome di “smentita”, in tedesco “Verwerfung” (1894), che allude al meccanismo di difesa operativo, l’altro verso del tipo difensivo dell’allucinazione negativa precedentemente menzionata.

Dell’utilità sociale della psicoanalisi. Allucinazioni, religione e il primitivo

      Nel suo articolo Le prospettive future della terapia psicoanalitica (1910), oltre a promuovere il progresso riguardante il sapere sulla tecnica e l’analisi del soggetto, Freud intende che il successo della psicoanalisi deve avere anche una portata sociale che consenta agli esseri umani di liberarsi da una serie di superstizioni. La cura analitica in questo momento segue una netta discriminazione tra conscio e inconscio e suppone i complessi presenti dietro i sintomi, che saranno svelati attraverso l’analisi delle resistenze. Dalla diffusione dei principi dell’analisi, Freud giunge alla necessaria destituzione di una serie di fenomeni che in passato erano moneta comune. Ad esempio l’allucinazione della Vergine Maria nelle giovani donne contadine, miracolo che presentò una netta diminuzione da quando le illuminate iniziarono ad essere visitate dal medico. Intravide in esso il potere dell’autosuggestione dell’isteria, con rappresentazioni così cariche di affetto da essere trasposte per il soggetto in qualcosa di reale (Freud, 1992, vol. XI: 140-41).     Allo stesso modo, altre superstizioni hanno suscitato l’interesse di Freud, analizzate da lui come manifestazioni del campo psichico nel sociale. In Totem e Tabù, si occupa, tra l’altro, della paura dei primitivi per i nemici battuti, ancora presente nel Medioevo e che è stata magnificamente rappresentata in due opere teatrali: Macbeth e Riccardo III. L’angoscia per lo spirito dei morti, le allucinazioni che li raffigurano sono argomenti sviluppati in seguito da Lacan. Il timore dei morti governa le pratiche del tabù e ne deriva un’intera serie di precetti di pacificazione, restrizioni ed espiazioni (Freud, 1993, vol. XIII: 45). In linea con l’analisi dei primitivi, Freud stabilisce un’analogia tra loro e i bambini poiché in entrambi si riscontra una soddisfazione allucinatoria dei desideri per via motoria attraverso giochi e rituali. In entrambi i casi si realizza una “figurazione imitativa” dell’agognato. Freud intuisce in ciò il germe dell’animismo, del pensiero magico e dell’onnipotenza dei pensieri come qualcosa di strutturale dell’essere umano, che con il tempo e la necessità di risoluzione del desiderio riesce a spostarsi verso l’azione. Ma il primo tentativo di soddisfazione per via allucinatoria, inaugurale del soggetto, è quello indotto dalla prima sensazione del neonato; il piacere del cibo che entra nella sua bocca. Poiché il seno materno allucinato non riesce a soddisfare la fame, è richiesta un’azione motoria come il pianto perché il bambino sia accudito. È l’inizio della discriminazione tra mondo esterno e interno (Ibidem: 79).    Negli articoli Il futuro di un’illusione e Un’esperienza religiosa, entrambi scritti nel 1927, Freud mette sotto la lente d’ingrandimento l’origine delle religioni e in particolare la credenza, la conversione e le rappresentazioni religiose in relazione ai rilevamenti realizzati dalla psicoanalisi. La religione, come nevrosi ossessiva umana universale, proverrebbe dal complesso di Edipo nel suo vincolo con il padre. L’allucinazione, che in dette concettualizzazioni non occupa un posto preponderante, fa parte di questo sistema di illusioni del desiderio con una smentita della realtà effettiva, proprio come accade nella confusione allucinatoria di Meynert. Contestualmente, Freud riceve la lettera di un medico americano che afferma di aver ascoltato “la parola di Dio”, sollecitandogli di rivedere lo scetticismo della sua posizione. Freud, tuttavia, esamina psicoanaliticamente le esperienze del medico e spiega la risoluzione del conflitto sotto forma di psicosi allucinatoria. “Le voci interiori gli parlarono per farlo desistere dalla resistenza a Dio sperimentata mentre iniziava il suo lavoro come medico” (Freud, 1994, Vol. XXI: 169).

Allucinazione, al di là del principio del piacere, realtà

   Un altro cambio di paradigma commuove l’apparato concettuale freudiano dove ancora una volta i sogni orientano una revisione teorica. In Al di là del principio del piacere (1920) Freud studia la nevrosi traumatica e constata che il soggetto, lungi dal sognare stimolato da desideri incompiuti, viene puntualmente reindirizzato alla situazione in cui, ad esempio, ha subito un incidente. Si conferma dunque che il meccanismo del sogno non è invariabilmente al servizio di una realizzazione di desiderio. Vale a dire, non si allucina soltanto sotto l’imperio del principio del piacere, ma anche per la ripetizione di un trauma (Freud, 1993, vol. XVIII: 31). Ugualmente i sogni d’angoscia o punitivi fanno parte della categoria. Questo al di là, dice Freud, non contraddice il principio del piacere ma è indipendente da lui e più originario, anteriore alla tendenza di realizzazione del desiderio. Tre anni dopo si produce una nuova mutazione teorica, questa volta rispetto ai confini del topico.    Ne L’Io e l’Es (1923) Freud riflette sull’estrema considerazione che ha dato al rimosso fino ad ora, con la conseguente divisione netta tra conscio e inconscio e la coscienza come una superficie percipiente del mondo esterno discriminante delle sensazioni dal mondo interiore, dell ‘”evento animico” e della sua localizazione. Ora, dai nuovi supposti teorici spiega diversamente le differenze tra ricordo e allucinazione. I ricordi riescono a preservarsi nel soggetto come resti mnemici grazie alla conservazione della sua investitura nel sistema percezione-coscienza, mentre l’allucinazione “nasce quando tale investitura non solo trabocca dalla traccia mnemica sull’elemento P, ma viene interamente trasferita ad essa” (Freud, 1992, vol. IXI: 22). In altre parole, l’investitura della rappresentazione come parola autorizzata nel discorso del soggetto rimane a lui collegata, mentre nell’allucinazione il “trabocco pulsionale” provoca una mancanza di differenziazione nel sistema percezione-coscienza.    I due articoli precedenti sembrano continuare logicamente una interrogazione della realtà come significazione e registro soggettivo. Freud indaga l’argomento nelle diverse strutture cliniche. Scrive Neurosi e psicosi (1923) e un anno dopo Perdita di realtà in nevrosi e psicosi (1924) in cui l’asse della questione si centra precisamente sul principio di realtà. Nelle nevrosi, un estraneamento parziale o la fuga da detta realtà, porta a relativizzare il principio, fino a considerarlo un asse su cui basarsi per fare una lettura differenziale della struttura psichica del soggetto. Vale a dire, il principio di realtà o la sua perdita non può essere considerato un indicatore patognomonico. Inoltre, Freud ratifica il meccanismo mediante il quale le psicosi ricostruiscono in modo allucinatorio una nuova realtà. L’esempio più estremo è “l’amentia di Meynert”, in cui la percezione sensoriale manca di ogni efficacia. Il delirio emerge come un “rammendo” nel luogo in cui originariamente si è verificata la lacerazione tra l’Io e il mondo esterno (Ibidem: 156-57). La frustrazione di un desiderio continua ad essere il suo fondamento ultimo. Freud ancora non è stato in grado di spiegarsi a sufficienza la differenza tra le due strutture se non per le influenze più o meno forti dell’Io in alcuni soggetti. In Neurosi e psicosi conclude chiedendosi dell’esistenza di un meccanismo analogo alla repressione in grado di provocare una rottura con il mondo esterno. È ciò che negli studi successivi sul tema chiamerà Verleugnung. Per ora, rinvia la questione alle investiture libidiche legate all’Io. In Inibizione, sintomo e angoscia (1925) l’allucinazione appare ancora una volta come uno dei sintomi che possono presentarsi nell’isteria di conversione, prodotto di processi di investitura “permanenti o intermittenti”. 

Allucinazioni e disturbi dell’Io

   Tra gli ultimi articoli scritti da Freud, La decomposizione della personalità psichica (1932) e Una perturbazione della memoria nell’Acropoli (1936) forniscono delucidazioni su espressioni psichiche che sono fenomenicamente vicine all’allucinazione: l’alienazione, la depersonalizzazione e la decomposizione dell’io. Ne “La decomposizione …”, Freud commemora gli inizi della psicoanalisi come una pratica che ha gettato le basi su ciò che c’è di più estraneo all’Io del soggetto, il suo sintomo. Trascorsi all’incirca quarant’anni, decide di centrarsi sull’Io e le sue scissioni come oggetto di studio e ipotizza l’esistenza di un punto congiunturale prima di ogni “rottura”:
Ogni volta che [l’Io] ci mostra una rottura o lacerazione è possibile che normalmente preesistesse un’articolazione. Se lanciamo un cristallo per terra si frantuma ma non capricciosamente, si frammenta seguendo le linee di scollatura la cui demarcazione, sebbene invisibile, era già comandata dalla struttura del cristallo (Freud, vol. XXII: 54).  
  In tale contesto l’Es, come qualcosa di estraneo all’Io, è il produttore di sogni e sintomi, aperto al somatico. Le fratture sarebbero ciò che acconsente le manifestazioni dell’estraneo. Il sistema percezione-coscienza rende possibile che le pulsioni trovino in qualche modo espressione psichica. Inoltre, né lo psichico né le manifestazioni sensoriali sono conformati da confini netti. Fenomeni come la decomposizione dell’Io, le allucinazioni o il sentimento di alienazione, possono presentarsi nelle nevrosi come espressione di una fragilità congiunturale del soggetto, quando preesiste una dissoluzione dell’armatura dell’Io. In questo modo, una rappresentazione visiva, sensoriale o uditiva, viene alla coscienza a causa di una lacerazione dell’Io. Dette perturbazioni sono successivamente reincorporate nella catena discorsiva del soggetto. Sulla stessa linea, Freud sottopone all’analisi un proprio vissuto. Nel suo articolo Una perturbazione del ricordo nell’Acropoli, dopo essere approdato ​​nel luogo così lungamente desiderato, un frammento di realtà gli si presenta come estraneo. Il sentimento di alienazione, dice, risponde a processi complessi annodati a contenuti determinati, “sono le occasionali allucinazioni di persone sane” (:218). In ogni caso rispondono sempre a perturbazioni animiche. Quando l’alienazione riguarda l’Io, riceve il nome di depersonalizzazione. Ugualmente ognuna serve alla difesa nel voler trattenere qualcosa lontana dall’Io, dirà. Nel caso di Freud, si trattò di “essere andato al di là del padre”. Argomento fondamentale che introduce alla fine della sua opera e che Lacan articola alla fine dell’analisi.

Costruzioni

  In Costruzioni in psicoanalisi (1937) Freud torna a parlare del metodo, dei successi e degli errori nell’interpretazione, anche dei suoi detrattori. A quel tempo le costruzioni in analisi erano piuttosto un lavoro di ricostruzione, alla maniera dell’archeologo. La comunicazione di una costruzione “certa” da parte dell’analista al suo analizzante avrebbe come risultato la successiva comparsa di un ricordo, un sogno o di fantasie diurne così nitide da meritare per Freud il termine di allucinazione. Aggiunge: “Questa analogia ha acquisito significazione quando in altri casi chiamò la mia attenzione l’occasionale occorrenza di allucinazioni effettive, in qualche modo psicotiche” (Freud, 1996, vol. XXIII: 268). La mancanza di una convinzione certa da parte del paziente nella sua attualità cogiunturale indicava la differenza. Ugualmente ipotizzò a partire da lì un possibile tratto universale dell’allucinazione: il ritorno di qualcosa sperimentata in tenera età e in seguito dimenticata che potrebbe avere un vincolo con la pulsione emergente dall’inconscio e con il ritorno del rimosso. Così il rimosso approfitterebbe dell’estraneamento della realtà oggettiva derivante dal processo difensivo per imporne il suo contenuto alla coscienza. Queste riflessioni denotano la ricerca fino alla fine e lo sforzo di trovare una spiegazione di validità universale per alcuni fenomeni basata sulla storia infantile del soggetto, che si traduca di conseguenza nella scoperta di strumenti utili al lavoro analitico.    Nei successivi sviluppi di Lacan, questa urgenza pulsionale nominata da Freud e produttrice di fenomeni, è ciò che sosterrà il legame tra un analista e il suo analizzante quando già non ci si aspetta nulla dal senso, in una sintesi che va oltre i lacci del discorso.
  • Author: Dott.ssa Rosana Alvarez Mullner
RIFERIMENTI Nota: illustrazione di Johfra Draak, paziente con schizofrenia. [1] Johannes Peter Müller (1801-1858) fu un anatomista e fisiologo tedesco. Tra altre cose, si dedicò fondamentalmente alla ricerca nel campo della fisiologia e l’anatomia umana normale e patologica. Il suo orientamento era meccanicistico. [2] Wilhelm Griesinger (1817-1868) fu un noto neurologo e psichiatra tedesco, pioniere nell’introduzione di riforme nel trattamento delle malattie mentali e nell’introduzione di cambiamenti nel “sistema di asilo”. Credeva nell’integrazione dei malati mentali nella società. Perciò propose un sistema di ricoveri per brevi periodi di tempo con altri tipi di sistemi di supporto naturali. Ha pure realizzato preziosi contributi nel campo del comportamento psicopatico. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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