Recenzione del film La classe | Francia 2018 | Laurent Cantet
Testo predisposto per la Cattedra di Formazione docente dell’Università di Palermo, a Buenos Aires, (Argentina).
Aggressività e asimmetria. Un professore francese
Secondo Miller (2008) possiamo distinguere due tipi di aggressività: una verso il simile, colui con il quale un determinato soggetto si misura o si identifica e la seconda, maggiormente improntata al razzismo, in cui il prossimo viene visto come un essere completamente dissimile.
Nell’aggressività verso il prossimo, l’individuo nutre sentimenti di competizione, rivalità o invidia. Si individua tra fratelli o pari. Tuttavia, nell’aggressività verso colui che è considerato diverso, l’altro è percepito come un essere di una diseguaglianza assoluta, con differenze che possono risultare minacciose o schiaccianti per chi le esperimenta.
Nel film La classe, il sig. Marín è un insegnante di lingue in una scuola superiore con alta percentuale di multiculturalità. Gli allievi della sua classe sono per lui individui completamente distanti dal suo modo di vivere, sentire e pensare. La differenza di etnie e le loro corrispettive culture sembrano disorganizzarlo come soggetto. Per questo motivo, invece di cercare un linguaggio facilitatore del processo di apprendimento si riguarda in ciò che lo ratifica e lo sostiene: il suo “essere francese”.
Come in ogni sistema razzista, vengono attribuite caratteristiche negative al gruppo in questione; nel presente caso, al corpo studentesco. Il professor Marín considera i suoi studenti incapaci di superare certi limiti di apprendimento. In conseguenza, risponde ad esempio ad un collega che “Voltaire è troppo difficile per loro”, quando conversano del programma di lingua. In particolare, si osserva chiaramente questo tipo di logica a proposito di uno studente problematico di origine marocchina, chiamato Zuliman. Il professore ritiene che lo studente disturbi in classe perché “ha raggiunto il suo limite”. Non serve a nulla che le delegate del corso gli ricordino che Zuliman, andando avanti nel corso dell’anno, ha alzato la propria media.
Analogamente, quando una allunna tenta di rispondere alla domanda posta dal professore, iniziando con la frase: “Penso che sbaglierò”, egli la ratifica dicendo: “lo penso anche io”. L’idea sui limiti delle capacità degli studenti è una sentenza presente continuamente. Quindi, il rapporto instaurato con gli allievi è di misconoscimento e sottovalutazione. Per lo stesso motivo, il professore contrasta assiduamente con loro. Infatti, usa le proprie conoscenze accademiche come uno scudo che lo tiene lontano dai propri allievi o come strumento che rafforza le differenze in una specie di collutazione costante. Quando emerge un argomento di interesse per gli studenti o rispondono ad uno stimolo offerto in classe, l’insegnante dubita delle loro capacità, non crede loro, li disautorizza. L’asimmetria professore-allievo sembra essere piuttosto una difesa inconscia sintomatica del signor Marín, che un modello di relazione valido del sistema scolastico.
La mancanza di rispetto nei confronti dei suoi allievi o il richiederlo verso se stesso in forma coercitiva fanno parte di questa posizione asimmetrica disfunzionale, che non è priva di conseguenze. Le manifestazioni di insoddisfazione da parte del corpo studentesco di fronte all’aggressività dell’insegnante sono una reazione agita dalla “differenza” stessa, che accresce e promuove il divario, ma pone paradossalmente l’insegnante e gli allievi sullo stesso piano: una simmetria immaginaria ancora più disfunzionale, dato che egli si implica con loro quasi esclusivamente nelle controversie generate dalla sua posizione. Il risultato è la privacy dell’insegnante esposta a causa del continuo deridere degli studenti sul professore, oltre a qualche momento di apprendimento, sebbene sempre carico di tensione verso di lui.
Scuola vs. Istituzione
Se pensiamo alla Scuola come qualcosa di differenziabile dall’Istituzione, è possibile esaminare alcune conseguenze di ciò che potrebbe chiamarsi la sua “Istituzionalizzazione”. In relazione a ciò, l’etimologia ci porta a stabilire divergenze significative,
Scuola deriva dal grecoˋσχολἤ (Scolé), che in origine significava “riposo”, “vacanza”, “tempo libero”, “ozio”, “pace”, “tranquilità”. Il verbo corrispondente a questo sostantivo era ʽσχολἀζωʼ (scolazo) che significava ugualmente essere ozioso, disoccupato; avere tempo per; essere libero, dedicare, dedicare tempo (a qualcosa). La scuola era il luogo in cui, libere dalle preoccupazioni o dalle urgenze della vita, le persone avevano il tempo per formarsi e coltivarsi, dedicandosi a ciò che piaceva loro e le umanizzava. In relazione a questa idea, la parola “studio” e il verbo “studiare” provengono dal latino. ll sostantivo ʽstudiumʼ significa ‘impegnoʼ, ʽ hobbyʼ, ʽafánʼ (in particolare, l’entusiasmo d’imparare, ‘studium discendiʼ). Lo studio era anche inquietudine o affetto per qualcuno (‘studia habere alicuiusʼ era “godere dell’affetto di qualcuno”). Parlare di studiare qualcosa senza gusto, come una pesante condanna era qualcosa di contraddittorio, d’impossibile, a tal punto che in latino per esprimere ciò che doveva essere fatto per forza, un obbligo, si diceva “non studio, sed offcio”, ovvero, non per hobby, ma per dovere. Il verbo ‘studeo’, significava ‘dedicarsi a qualcosa con entusiasmoʼ, ‘metterci impegnoʼ… Studiare era impegnare l’anima in qualcosa che piaceva al soggetto e faceva liberamente, il che non significava mancanza di sforzo o che non fosse un lavoro (Patio di filosofi, 2013).
Sebbene è necessario che le istituzioni funzionino riproducendo leggi universali o tendenti all’universale affinché esista un’organizzazione della struttura, la scuola intesa come luogo di formazione e umanizzazione, se assorbita dall’Istituzione, viene colpita nel suo adempimento principale. Normalmente, scuola e istituzione si trovano in uno stato di tensione permanente. Molte volte, situazioni complesse come la multiculturalità del corpo studentesco illustrato nel film, potrebbe condurre ad un’istituzionalizzazione della Scuola come soluzione facilitatrice nella gestione degli studenti. I significanti dell’Ideale presenti in qualsiasi istituzione acquisiscono quindi una centralità sostanziale. Il professore è “qualcuno che sa” ma sopratutto sa sull’Istituzione, al punto di incarnarla. Progressivamente, l’apprendimento lascia il posto ad una serie di sanzioni che esercitano una coercizione sistematica sull’allievo. Sostenere la gerarchia diventa più importante dell’insegnamento stesso.
La scuola del film si trova più vicina all’istituzionale che all’istruzione. In quel caso, l’Istituzione termina per abitare la Scuola. L’esperienza di apprendimento diventa gerarchica, tornandosi nell’istanza più rilevante. Di fatto, quando le gerarchie si impadroniscono del discorso, la particolarità dell’alunno viene messa a tacere. Non si tratta di sopprimere la loro parola, ma di renderla banale davanti a questo tipo di sapere. Analogamente, la posizione incontestabile del professor Marín si sostiene in esso.
Quando l’attenzione è rivolta sulla gerarchiazione delle relazioni, la scuola diventa tediosa e monotona. La passione per il sapere illanguidisce e il nuovo viene messo da parte. Passa ad essere rilevante ciò che istituzionalizza come l’osservanza di un programma, l’uniformità o l’essere tutti d’accordo. Chi trasgredirà la norma sarà sanzionato. Nel film, il problema con Zuliman si risolve attraverso l’applicazione della legge del “tutti uguali”. L’omogeneizzazione forzata pareggia e appiana ciò che le autorità scolastiche non capiscono, né cercano di capire. L’impossibilità di gestire le differenze acconsente, in questo caso, alla sua cancellazione. Il sistema scolastico invece di generare cambiamenti positivi, intimidisce ed esclude lo studente. Non è richiesta tolleranza o accettazione delle differenze. Non esiste un interesse genuino per la diversità. Quindi, che tipo di interventi potrebbero essere utili al fine di non diventare un’istituzione omogeneizzante? Da un lato, le leggi dello Stato non dovrebbero intervenire all’interno della Scuola senza una specifica interpretazione. L’accaduto all’interno di essa dovrebbe essere interpretato alla luce di ciò che si ottiene dall’esperienza maturata tra le mura scolastiche. D’altra parte, accettare la singolarità dissuade le persone dalla crudeltà e dalla violenza.
- Author: Dott.ssa Rosana Alvarez Mullner
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Miller, J.A. (2008), L’Uno tutto solo, l’orientamento lacaniano, Astrolabio, Roma.
- https://patiodefilosofos.wordpress.com/2013/01/09/que-entendian-los-antiguos-por-estudiar-y-por-escuela/
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